www.montesino.it
Transformation - INSIGHTS

Ristrutturazione preventiva vs. reattiva: vantaggi e rischi

Perché le aziende che anticipano le difficoltà sopravvivono, mentre chi interviene troppo tardi spesso non ha una seconda occasione

27 GIUGNO 2025

10 Minuti di lettura

Introduzione 

Nel ciclo di vita di un’impresa, ci sono momenti in cui la gestione ordinaria non è più sufficiente. I segnali si moltiplicano: tensioni di liquidità, margini in erosione, rapporto con le banche sempre più teso, crescita che rallenta. In molti casi, questi segnali vengono letti come “fisiologici”, normali fasi di assestamento. Ma in altri, sono campanelli d’allarme di una crisi che, se ignorata, può diventare irreversibile.


In questo contesto, parlare di ristrutturazione aziendale significa affrontare una scelta di approccio e di tempistica: intervenire prima che la situazione esploda, con strumenti ordinari e una posizione negoziale forte, oppure attendere che la crisi si manifesti pienamente, affrontando l’intervento in un quadro di emergenza, spesso con strumenti limitati e sotto pressione.


La differenza tra ristrutturazione preventiva e reattiva non è solo una questione di tempistiche. È una questione di posizionamento strategico, percezione del rischio, capacità di negoziazione e valore residuo dell’impresa. In gioco non c’è solo la continuità operativa, ma la qualità e l’autonomia del processo decisionale.

Il paradigma della ristrutturazione preventiva

La ristrutturazione preventiva è quella che interviene prima della crisi conclamata, quando l’impresa è ancora in grado di onorare i propri impegni, ma mostra segnali di squilibrio prospettico. È in questa fase che è possibile impostare un piano di riequilibrio patrimoniale e finanziario, rivedere i processi industriali, riallineare i costi, ristrutturare il debito, rinegoziare i rapporti bancari o gestire dismissioni in modo ordinato.

I vantaggi principali? Il primo è la posizione negoziale dell’impresa: il management è ancora credibile, i dati sono sotto controllo, la percezione da parte del sistema creditizio è collaborativa. Il secondo è la gamma di strumenti disponibili: si può agire fuori dalle procedure concorsuali, sfruttando strumenti volontari, accordi stragiudiziali o operazioni societarie mirate. Il terzo è la possibilità di coinvolgere nuovi partner o investitori, presentando un progetto di rilancio credibile e non una situazione da salvare in extremis.

Ma il punto più importante è un altro: la ristrutturazione preventiva consente di decidere, e non subire. Il management mantiene la regia, il CDA ha margini di manovra, la direzione finanziaria può impostare scenari alternativi. In altre parole, l’impresa è ancora protagonista della sua transizione.

Quando si finisce nella ristrutturazione reattiva

Diverso è il quadro in cui l’azienda arriva alla ristrutturazione “costretta”, dopo che le tensioni finanziarie si sono trasformate in insolvenze, i rapporti con le banche sono deteriorati, i fornitori iniziano a chiedere garanzie e il personale avverte l’instabilità interna.


In questi casi, l’accesso agli strumenti di risanamento diventa più limitato, più vincolato e più costoso. Le procedure previste dal Codice della Crisi (come il concordato preventivo, la composizione negoziata o l’accordo di ristrutturazione dei debiti) richiedono requisiti formali, tempi lunghi, l’intervento di advisor e, in alcuni casi, l’autorizzazione del tribunale o la nomina di un esperto terzo.


Ma il vero problema non è tanto normativo quanto operativo: l’azienda perde credibilità e velocità. Ogni decisione diventa più difficile, ogni negoziazione più rigida. I fornitori pretendono pagamento anticipato, le banche chiedono coperture, i dipendenti diventano incerti, i clienti cercano alternative. Anche eventuali investitori iniziano a soppesare con più attenzione i rischi impliciti nell’operazione.


Il risultato è che la ristrutturazione reattiva diventa spesso una gestione dell’atterraggio, non un piano di rilancio. E anche quando ha successo, lascia in eredità un capitale reputazionale, patrimoniale e umano fortemente eroso.

Perché le imprese scelgono di aspettare

Nonostante la razionalità dell’intervento precoce, molte imprese arrivano tardi. I motivi sono spesso psicologici e culturali, non tecnici:

In altri casi, il ritardo è causato da una mancanza di strumenti per leggere correttamente i segnali di crisi: margini che si assottigliano, capitale circolante che si deteriora, debito che cresce più dei ricavi, investimenti rinviati, contenziosi in aumento, perdita progressiva di competitività.


Tutti questi segnali, se letti con attenzione, anticipano una fase di rischio crescente. Ma se nessuno nel management ha la competenza (o il coraggio) per proporre una lettura alternativa del business, si preferisce andare avanti “finché si può”, spostando il problema in avanti senza affrontarlo.

Il ruolo dell’advisor nei percorsi di ristrutturazione

In entrambi gli scenari, ma soprattutto in quello preventivo, il ruolo dell’advisor è cruciale. Un buon advisor non entra in azienda per redigere un piano finanziario, ma per aiutare il Board e il management a leggere la realtà, disegnare scenari alternativi e costruire un percorso di azione.

Questo implica non solo competenze tecniche, ma anche capacità di interazione con i diversi stakeholder, dal sistema bancario ai fornitori, dai dipendenti agli investitori. In un processo di ristrutturazione, ogni passaggio deve essere orchestrato con attenzione: comunicazione, timing, scelte operative, azioni legali e industriali. Nulla può essere lasciato all’improvvisazione.

Un advisor di qualità sa dosare i tempi, definire le priorità, negoziare con le controparti e soprattutto dare struttura e coerenza a un processo che altrimenti rischia di restare frammentario. Ma perché questo sia possibile, è essenziale che l’azienda lo coinvolga quando c’è ancora tempo, risorse e leve strategiche da attivare.

Conclusione: il tempo è la variabile che cambia tutto

In economia aziendale, il fattore tempo è spesso trascurato. Ma quando si parla di ristrutturazione, il tempo è tutto. Le stesse azioni, se fatte sei mesi prima, generano valore. Se fatte sei mesi dopo, cercano solo di contenere i danni.

Agire per tempo non significa essere pessimisti. Significa essere responsabili, strategici e consapevoli che la solidità di un’impresa non si misura solo nei momenti di crescita, ma nella capacità di gestire le discontinuità con lucidità.

La vera differenza tra ristrutturazione preventiva e reattiva non sta nella tecnica utilizzata, ma nella posizione da cui si parte: in un caso si ha ancora il controllo del timone, nell’altro si cerca di non affondare.

E ogni imprenditore, ogni Board, prima o poi dovrà scegliere da quale lato della storia vuole trovarsi.