www.montesino.it
Corporate Protection - INSIGHTS

Le nuove sfide della corporate security nell’era della digitalizzazione

Nel dibattito sull’innovazione e sulla digital transformation, si parla spesso di velocità, scalabilità e cloud. Molto meno – e troppo tardi – si parla di sicurezza.

21 AGOSTO 2025

10 Minuti di lettura

Introduzione 

Eppure, nella nuova economia iperconnessa, la capacità di proteggere il perimetro digitale dell’azienda è diventata un fattore critico di sostenibilità, competitività e continuità operativa.

Non è più solo una questione di antivirus o firewall. La corporate security, oggi, è chiamata a gestire un rischio trasversale, che tocca infrastrutture digitali, persone, processi, asset immateriali e relazioni esterne. In un contesto in cui le vulnerabilità aumentano al crescere dell’interconnessione, ogni innovazione apre nuove superfici d’attacco, ogni dato archiviato diventa potenzialmente esposto, ogni partner terzo è una variabile nel modello di rischio aziendale.

Per questa ragione, la sicurezza non può più essere confinata nei dipartimenti IT. Va portata al centro delle agende strategiche di CDA, comitati di investimento, direzioni generali. E va pensata non come costo, ma come investimento nella protezione della reputazione, della proprietà intellettuale, del patrimonio informativo e della fiducia del mercato.

Dalla sicurezza fisica a quella digitale (e oltre)

Fino a pochi anni fa, parlare di “corporate security” evocava immagini di videocamere, badge, vigilanza e controllo accessi. Ma oggi, in un’impresa dove le riunioni si tengono in remoto, i documenti si firmano con SPID e i dati viaggiano su piattaforme terze, la superficie da proteggere non è più delimitata fisicamente.

Il perimetro si è smaterializzato, e con esso sono cambiate le minacce. Attacchi ransomware, furti di identità digitale, accessi non autorizzati ai database, esfiltrazioni di codice sorgente o informazioni commerciali riservate sono solo alcune delle minacce che oggi ogni impresa – dalla multinazionale alla PMI – deve fronteggiare.

Ma il vero cambio di paradigma è che la security non è più reattiva, ma deve diventare predittiva. È finito il tempo in cui ci si proteggeva “dopo” un attacco. Oggi serve costruire modelli di prevenzione, monitoraggio e risposta capaci di evolvere in tempo reale.

Dove si concentrano oggi i rischi più critici

I punti di esposizione della moderna impresa digitale sono numerosi e in costante evoluzione. Tra i più delicati:

il lavoro da remoto e l’utilizzo di dispositivi personali moltiplicano i punti d’accesso e rendono più difficile applicare politiche di sicurezza centralizzate. 

la crescente esternalizzazione di servizi IT (cloud, software gestionali, CRM) implica che la sicurezza del proprio sistema dipende anche dalle policy di soggetti esterni. 

le credenziali di accesso diventano target privilegiati per attacchi phishing o tecniche di social engineering. Un errore umano può aprire la porta a danni stratosferici. 

i dati aziendali, le strategie commerciali, i brevetti, i listini, i contratti: tutto è digitalizzato, tutto può essere sottratto, duplicato o manipolato. 

le regolamentazioni su sicurezza e privacy (es. GDPR, NIS2, DORA) sono sempre più stringenti. Una violazione non è solo un problema tecnico: è un rischio legale e reputazionale.

A rendere più insidiosa la situazione è il fatto che gli attacchi oggi sono sempre meno “di massa” e sempre più mirati. Non colpiscono solo banche o big tech, ma anche PMI con informazioni sensibili o aziende legate a filiere strategiche.

L’evoluzione della governance della sicurezza

In questo scenario, non è sufficiente investire in software o tecnologia. Serve una revisione della governance interna della sicurezza, che parte da una domanda: chi è responsabile della sicurezza in azienda?

Nelle realtà più evolute, esistono figure dedicate (Chief Security Officer, Chief Information Security Officer), ma nella gran parte delle imprese italiane la responsabilità resta dispersa tra IT, compliance, direzione generale. Questo genera zone grigie, ritardi decisionali, mancanza di presidio strategico. Occorre invece:

Solo una governance trasparente e strutturata può garantire che la sicurezza non resti una funzione tecnica, ma venga trattata come una leva strategica.

La security come vantaggio competitivo

Una gestione proattiva e strutturata della corporate security non serve solo a difendersi, ma anche a posizionarsi meglio sul mercato. Oggi i grandi clienti, le istituzioni finanziarie e i fondi di investimento valutano con sempre maggiore attenzione il grado di maturità digitale e la solidità dei sistemi di protezione delle aziende con cui interagiscono.

Essere in grado di dimostrare di avere:

Non è più un nice-to-have, ma un prerequisito per accedere a bandi, partnership, filiere pubbliche e private. La sicurezza, insomma, diventa un asset di reputazione, affidabilità e competitività.

Conclusione: investire in sicurezza è proteggere il capitale intangibile

La sicurezza aziendale nell’era digitale non è solo una questione tecnica, ma una responsabilità strategica. Chi guida un’azienda non può più ignorare i rischi che derivano da una protezione insufficiente dei dati, dei processi, delle persone. Ma soprattutto, non può più demandare queste responsabilità unicamente al reparto IT.

Le sfide odierne richiedono una visione integrata, interfunzionale e aggiornata, capace di mettere in sicurezza l’azienda senza rallentarla, proteggere i flussi senza irrigidirli, anticipare le vulnerabilità senza trasformarle in ostacoli.

E questo vale per tutte le imprese, non solo per le grandi. Perché non c’è più un perimetro sicuro per definizione, e non ci sono settori “non interessanti” per chi vuole danneggiare, sottrarre o manipolare.

In un contesto dove il valore di un’impresa risiede sempre più nei suoi asset immateriali – dati, reputazione, processi, persone – la sicurezza non è una spesa tecnica, ma un investimento sulla sua capacità di restare viva, credibile e sostenibile nel tempo.