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Nel dibattito sull’innovazione e sulla digital transformation, si parla spesso di velocità, scalabilità e cloud. Molto meno – e troppo tardi – si parla di sicurezza.
I punti di esposizione della moderna impresa digitale sono numerosi e in costante evoluzione. Tra i più delicati:
il lavoro da remoto e l’utilizzo di dispositivi personali moltiplicano i punti d’accesso e rendono più difficile applicare politiche di sicurezza centralizzate.
la crescente esternalizzazione di servizi IT (cloud, software gestionali, CRM) implica che la sicurezza del proprio sistema dipende anche dalle policy di soggetti esterni.
le credenziali di accesso diventano target privilegiati per attacchi phishing o tecniche di social engineering. Un errore umano può aprire la porta a danni stratosferici.
i dati aziendali, le strategie commerciali, i brevetti, i listini, i contratti: tutto è digitalizzato, tutto può essere sottratto, duplicato o manipolato.
le regolamentazioni su sicurezza e privacy (es. GDPR, NIS2, DORA) sono sempre più stringenti. Una violazione non è solo un problema tecnico: è un rischio legale e reputazionale.
A rendere più insidiosa la situazione è il fatto che gli attacchi oggi sono sempre meno “di massa” e sempre più mirati. Non colpiscono solo banche o big tech, ma anche PMI con informazioni sensibili o aziende legate a filiere strategiche.
Solo una governance trasparente e strutturata può garantire che la sicurezza non resti una funzione tecnica, ma venga trattata come una leva strategica.
Non è più un nice-to-have, ma un prerequisito per accedere a bandi, partnership, filiere pubbliche e private. La sicurezza, insomma, diventa un asset di reputazione, affidabilità e competitività.
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