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M&A & Capital Market - INSIGHTS

Come preparare un’azienda a diventare “deal ready” in 12 mesi

Preparare un’azienda per una cessione, un ingresso di nuovi soci o un’operazione straordinaria di crescita non è una questione che si risolve in poche settimane.

21 LUGLIO 2025

10 Minuti di lettura

Introduzione 

Il tempo minimo realistico per rendere un’impresa realmente “deal ready” è di 12 mesi, soprattutto se l’obiettivo è massimizzare valore, attrattività e condizioni di negoziazione.

Essere “deal ready” non significa solo avere i numeri in ordine o un bilancio certificato. Significa presentare un’impresa trasparente, comprensibile, efficiente, scalabile e priva di zone d’ombra. È un lavoro che parte da dentro l’organizzazione, tocca aspetti strategici, operativi, legali e culturali. Ed è un processo che, se ben pianificato, può aumentare significativamente la valutazione dell’azienda e ridurre i tempi di trattativa, le richieste di garanzia e i fattori di sconto.

In questo articolo vedremo come articolare un piano operativo di 12 mesi per portare l’impresa in condizioni ottimali per affrontare un’operazione di M&A, fundraising o apertura del capitale.

Mese 1–2: definire la strategia di uscita e costruire una roadmap interna

Tutto parte da una domanda chiara: qual è lo scenario che vogliamo rendere possibile? Vendere il 100% dell’azienda? Aprire a un fondo con un ingresso di minoranza? Far entrare un socio industriale per espandersi su nuovi mercati?

La chiarezza su questo punto guida tutto il resto. In questa fase è necessario:

La roadmap dei prossimi 10 mesi dovrà riflettere questa direzione, con obiettivi misurabili per ogni area aziendale coinvolta.

Mese 3–4: mettere in ordine contabilità, finanza e documentazione

L’attenzione degli investitori inizia dalla qualità dei numeri. Una contabilità disordinata, un bilancio poco leggibile o un cash flow mal gestito sono fattori che abbassano il valore percepito e rallentano qualsiasi operazione.

In questa fase occorre:

depurandolo da elementi straordinari o non ricorrenti, tali elementi sono spesso correlati con spese extra societarie legate in via diretta alla quotidianità degli organi amministrativi;

con dettaglio per business unit o linee di prodotto provvedendo anche al calcolo dei margini per ciascuna di esse; 

contratti principali, visure, atti societari, situazioni debitorie, elenco asset; 

anche se semplificata, per mostrare la direzione dell’azienda. 

Anche piccole attività, come allineare i valori di magazzino o regolarizzare i contratti con i clienti storici, possono prevenire rilievi durante la due diligence.

Mese 5–6: consolidare la governance e la struttura societaria

Un acquirente valuta anche il contesto in cui l’azienda è gestita: processi decisionali, responsabilità interne, presenza di soci inattivi o asset personali in carico all’impresa sono tutti aspetti che generano incertezza e richiedono chiarimenti.

Interventi prioritari:

In parallelo, è utile rafforzare il consiglio di amministrazione o introdurre un organo di controllo, se l’operazione lo richiederà (es. per attrarre investitori istituzionali).

Mese 7–8: sviluppare un’organizzazione autonoma e scalabile

Uno dei principali freni alla vendita o all’ingresso di nuovi soci è l’eccessiva dipendenza dell’azienda dalla figura dell’imprenditore. In questa fase, quindi, l’obiettivo è rendere l’azienda gestibile anche senza il fondatore al centro di ogni decisione.

Azioni da avviare:

L’obiettivo è costruire una struttura capace di funzionare anche in mano a un soggetto terzo, sia esso un fondo, un acquirente industriale o un nuovo management team.

Mese 9–10: lavorare sull’equity story e sulla presentazione dell’azienda

A questo punto l’azienda è solida nei numeri e nella struttura. Ma serve anche una narrazione credibile e coerente da presentare agli investitori. L’equity story è l’insieme degli elementi che raccontano perché l’impresa è interessante, quali sono le sue leve di crescita e cosa la rende unica.

In questa fase si lavora su:

La differenza tra un’azienda “in vendita” e un’azienda “deal ready” è tutta qui: la seconda non si limita a offrire dati, ma propone una visione.

Mese 11–12: simulare la due diligence e scegliere il canale di accesso al mercato

Nel periodo finale il focus si sposta sulla simulazione del processo effettivo che l’azienda dovrà affrontare una volta sul mercato. Meglio intercettare criticità adesso che durante le trattative.

Ultime attività:

Essere pronti significa controllare i tempi, le informazioni e il posizionamento dell’azienda nel dialogo con l’acquirente, senza farsi dettare le regole del gioco.

Conclusione: 12 mesi per aumentare valore, credibilità e margine di manovra

Essere “deal ready” non significa solo essere vendibili. Significa costruire un’impresa robusta, chiara, trasparente e pronta ad affrontare una fase nuova: con nuovi soci, nuovi capitali o una nuova guida. Il lavoro dei 12 mesi non va a beneficio solo dell’operazione straordinaria, ma rafforza l’impresa nella sua gestione quotidiana, la rende più efficiente e più reattiva. 

Per l’imprenditore, affrontare per tempo questo processo permette di alzare la valutazione, ridurre i rischi di fallimento dell’operazione, ottenere condizioni migliori e soprattutto poter scegliere, invece di accettare condizioni imposte da altri. 

Nel mercato attuale, sempre più selettivo e strutturato, la differenza tra chi chiude una trattativa e chi la subisce si misura nella preparazione. E prepararsi bene è oggi la forma più solida di potere contrattuale.