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Come evitare le sorprese post-acquisizione con una due diligence approfondita

Le operazioni di acquisizione, sia in ambito aziendale che immobiliare, sono spesso presentate come successi strategici, acceleratori di crescita, segnali di solidità e visione industriale.

30 GIUGNO 2025

10 Minuti di lettura

Introduzione 

il vero lavoro comincia solo dopo la firma. Ed è lì che, troppo spesso, emergono le sorprese: passività non rilevate, criticità operative sottostimate, squilibri patrimoniali occultati da semplificazioni contabili o narrative forzate.

In questo contesto, la due diligence dovrebbe rappresentare il momento di verifica e consapevolezza più lucido dell’intero processo. Non un adempimento tecnico o una procedura da manuale, ma un vero esercizio di interrogazione del valore reale, della coerenza del business e della solidità dei presupposti su cui si fonda la decisione di acquisire.

Eppure, ancora oggi, molte operazioni vengono condotte con un approccio superficiale o, peggio, orientato a confermare una decisione già presa. È qui che iniziano i problemi: non nel dossier tecnico, ma nel mindset con cui si affronta la fase più critica di ogni deal.

La due diligence come strumento di verità, non di conferma

Quando una parte acquirente avvia un’operazione, spesso lo fa sulla base di una narrazione già strutturata: sinergie da attivare, economie di scala, accesso a nuovi mercati, valorizzazione dell’offerta. Ma se la due diligence si limita a cercare conferme per questa narrazione, diventa un esercizio autoreferenziale, utile a chiudere velocemente ma rischioso per la fase post-closing.

Al contrario, un’analisi seria deve porsi l’obiettivo opposto: non validare, ma stressare. Verificare ciò che non funziona, identificare gli elementi di ambiguità, simulare scenari avversi, esplorare le zone grigie della documentazione.

In questo senso, la due diligence non è mai solo un’attività “di controllo”. È uno strumento di lettura profonda della realtà economica, operativa, fiscale, giuridica e persino culturale dell’oggetto acquisito. E ogni ambito ha le sue insidie specifiche, che richiedono tempo, esperienza e indipendenza di giudizio.

Oltre i numeri: dove si annidano i rischi reali

Molti dei problemi che emergono post-acquisizione non sono legati a errori aritmetici, ma a dinamiche aziendali o immobiliari mal comprese, taciute o sottovalutate. Alcuni esempi ricorrenti:

Tutti questi elementi hanno impatti diretti sul valore dell’operazione, sul rischio finanziario e sull’equilibrio della gestione post-deal. Eppure, in molti casi, emergono solo dopo la chiusura, quando ormai l’acquirente ha perso gran parte del suo potere negoziale.

Un processo multidisciplinare da orchestrare con precisione

Per essere efficace, una due diligence deve essere trasversale e ben coordinata. Non basta l’analisi fiscale o legale condotta da uno studio di riferimento: serve un approccio integrato, in cui i flussi informativi tra advisor finanziari, legali, tecnici e industriali siano fluidi e leggibili anche dal Board.

La chiave è costruire un processo che tenga conto non solo della natura dell’asset, ma anche della sua logica di inserimento nel portafoglio dell’acquirente. La stessa anomalia contabile può avere peso nullo in un’operazione opportunistica e diventare invece un vincolo critico in un deal strategico con focus ESG o continuità gestionale.

In particolare, per chi opera nel real estate, una due diligence che si limiti alla verifica catastale e urbanistica è assolutamente insufficiente. Bisogna includere:

Nel contesto aziendale, invece, diventano centrali l’analisi del capitale circolante netto, i patti parasociali impliciti, la coerenza tra EBITDA dichiarato e cassa generata, la lettura realistica del business plan presentato dai venditori.

Le trappole della pressione al closing

Uno dei nemici principali della due diligence è il tempo. Quando l’operazione viene percepita come “calda”, con più soggetti interessati o con dead line stringenti, cresce la pressione a chiudere velocemente, semplificando le verifiche o concentrandole solo sui macro-dati.

È qui che spesso si commettono errori strategici. Il deal team inizia a ragionare in funzione della chiusura, non della qualità del deal. Gli advisor interni smettono di fare domande scomode, le criticità vengono etichettate come “gestibili”, si rinvia tutto a garanzie post-closing o a clausole contrattuali che raramente coprono i rischi reali.

In queste situazioni, solo una due diligence guidata da professionisti realmente indipendenti e con accesso diretto al Board può evitare il cortocircuito. Serve qualcuno che abbia il mandato – e il coraggio – di dire: “Non è il momento” oppure: “Serve più tempo per capire”.

La due diligence come leva di negoziazione

Un altro aspetto troppo spesso trascurato è che la due diligence non è solo un’attività difensiva. È anche uno strumento di leva negoziale potente. Quando ben condotta, permette di ricalibrare le condizioni economiche, inserire meccanismi di aggiustamento del prezzo, negoziare escrow, earn-out, clausole di indennizzo, oppure ridefinire il perimetro dell’operazione.

Ma questo è possibile solo se i risultati della due diligence sono presentati in forma chiara, sintetica, argomentata e con alternative già pensate. Le osservazioni devono essere tradotte in opzioni concrete, non in appunti da allegare al faldone.

Un Board che riceve analisi approfondite ma astratte, o una serie di “rischi potenziali” non accompagnati da scenari e soluzioni, non sarà in grado di usarli nel processo negoziale. La due diligence, per avere valore reale, deve trasformare l’informazione in azione.

Conclusione: il costo di una buona due diligence è sempre inferiore a quello di una cattiva acquisizione

Ogni operazione ha un margine di rischio. Ma una due diligence ben condotta non serve ad annullarlo: serve a renderlo consapevole, misurabile e governabile. È uno strumento di maturità strategica, che rafforza la capacità di decidere, protegge il capitale investito e riduce l’incertezza.

Le sorprese post-closing non sono inevitabili. Nella maggior parte dei casi, erano già presenti, ma nessuno le ha viste, volute vedere o sapute interpretare. E quando emergono dopo, il costo non è solo economico: è reputazionale, operativo, umano.

Investire in una due diligence solida non significa rallentare il deal. Significa dare dignità alla decisione più delicata dell’intero processo: quella di comprare qualcosa che non si potrà più restituire.